Melancholia
Quando lo guardi impari cosa sia la malinconia; sempre che la sorte ti abbia concesso di non essere mai stato contagiato dalla piu’ potente e devastante peste contemporanea. La parola coniata dai saggi greci significa “bile nera”. Come si potrebbe dire meglio?
A parte la parola greca anche il regista Von Trier si è cimentato a descriverla. Credo che con questo fascinoso e per lunghi tratti, silenzioso film, sia andato molto vicino al cuore di questa massa amorfa e nera che perfora cervello , cuore, gambe, braccia.
Il regista danese immagina l’impatto della stella Melancholia che simbolicamente stava innocuamente “nascosta dietro il sole”, come espressione visiva e materiale della devastazione interiore che colpisce Justin, protagonista del film e in lei indirettamente gli altri e perche no anche molti spettatori.
La malinconia è quella potente forza depressiva che per dirla in gergo fisico-matematico ha il segno meno davanti . Forza centripeta piu che centrifuga, che fa implodere dentro perche cio’ che vedi fuori essenzialmente è la fine della vita, l’inutilità di un qualunque progetto (la festa matrimonio di Justin è un fiasco) , il fallimento delle false rassicurazioni razionali (il cognato scienziato), la sterilità della paura buona solo a spargere inutili e sciocche lacrime (Claire, la sorella) l’inopportunità della risata perche non c’è nulla da ridere (il papà ), la freddezza cinica e ugualmente deplorevole di chi guarda tutto senza farsi mai toccare da qualunque avvenimento (la mamma), la debole e stanca chimera delle sensazioni date dal sesso senza amore e dall’alcool senza gioia.
La malinconia di Justin non è tanto uno sguardo inutile; è uno sguardo assente, uno sguardo che non puo’ razionalmente proiettarsi verso il futuro perche questo non ci sarà, ma nemmeno verso il passato che è stato inutile. Resta uno sguardo assorto, come un ebete, su un presente sterile che non puo’ che prepararsi alla fine.
L’unica azione possibile è costruirsi una improbabile capanna per aspettare, insieme alle persone che ci sono toccate in sorte, la nostra fine!
Non è pensiero debole, né opera crepuscolare. E’ il ritratto lucido e a suo modo poetico della peste contemporanea: la malinconia.
Esco dal cinema solitario e in silenzio proprio come la fine del film. Niente colonna sonora: buio, silenzio…poi solo silenzio e il rumore dei neon della sala che timidamente si accendono quasi fossero restati esterefatti anche loro e mi viene in mente la solitudine dei quadri di Hopper e un pensiero:
“Se sapessi che il mondo finirà domani non esiterei a piantare un albero oggi” (Martin Lutero).
Poi una domanda: chi o cosa ci tiene cocciutamente in piedi mentre tutto muore?
Ciao intanto grazie del passaggio e del commento sul mio blog, interessante anche il tuo punto di vista sul film, diciamo che la mia visione differisce perchè immaginata dai punti di vista dei vari protagonisti però interessante questo parallelo con la malincionia. ci ragiono su per vedere se mi da qualche altro spunto di discussione.
Sulla domanda finale la mia risposta personale è che per quanto mi riguarda anche l’ultimo secondo della mia vita potrebbe durare così a lungo da permettermi di esaudire un sogno o un desiderio, da realizzare una volontà o un semplice capriccio e che ad ogni modo qualche parte di me rimarrà in qualche forma in questo universo. Non conoscendo la data finale della mia storia tutto ciò si amplifica a dismisura e pensare a costruire è estremamente più piacevolo e sensato che pensare a distruggere o autodistruggere, ora più che mai che ho due bambini da accompagnare in questa meravigliosa magia che è la vita!