Accabadora
« Non tutte le cose si ascoltano per capirle subito » (pag. 12)
Mi sembra la sintesi, semmai se ne possa mai fare una, dell’ultimo romanzo della giovane scrittrice sarda M. Murgia.
Accabadora era un savoir-faire di persone , soprattutto donne, che possedevano “l’arte della fine”.
E come ogni arte non si puo spiegare, capire, abbordare. Si puo osservare , per poi passare oltre per sempre o contemplare come una possibilità.
Adoro i soggetti letterari o cinematografici dove dopo l’ultima scena non si è capito tutto.
Mi aggrappo alla parte di mistero e significati che sgorgano oltre l’evidenza; dopo i titoli di coda, fuori e oltre il supporto spento o appena chiuso. Quando si va a letto e non si dorme perche le immagini deambulano come icone multimediali senza apparente collegamento eppure scommetti che il filo c’è ma è troppo fine.
Nell’arte autentica viene data la possibilità al pubblico di continuare la storia come una specie di sistema o programma “open source” a cui tutti possono contribuire.
In questo senso mi piacciono le storie “libere” dove niente è preciso e chiarito ma sono solo indizi da cui partire per il tuo viaggio, per la tua storia.
“Quando finisce un lutto , Tzia?”
“Quando finisce il dolore finisce il lutto”
“Quindi il lutto serve a far vedere che c’è il dolore”
“No, Maria, il lutto non serve a quello. Il dolore è nudo, e il nero serve a coprirlo non a farlo vedere”
Buona continuazione!