La Collezione Morozov e il giardino di Pia Pera
Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di visitare la Collezione Morozov presso il magnifico e avveniristico museo della Fondation Louis Vuitton a Parigi.
Due fratelli russi Mickail e Ivan Morozov che una volta tanto, invece di bibliche litigate, decisero ad inizio novecento di vivere di arte e bellezza. Intuirono come per una visione mistica che dei pittori loro contemporanei che noi oggi definiamo “maggiori esponenti dell’arte moderna”, stavano dipingendo tele che sarebbero restati nella storia dell’arte di tutti i tempi: Matisse, Picasso, Van Gogh, Gaugain, Monet,Bonnard, Cezanne . In una sola esposizione di oltre 200 opere un concentrato di colori e figure rese eterne da uomini e donne ispirate da grande talento misto a tecnica sopraffina perfezionate da continue e ripetute gestualità quotidiane. Per anni alla ricerca della pennellata esatta, unica, irripetibile resa perfetta e destinata a rimanere per sempre nella memoria di chi sarebbe restato dopo di loro.
Il volti luminosi e diretti dei ritratti di Korovin, gli occhi espressivi e pieni di vita del bambino di Serov, la “nature morte” di Matisse, i paesaggi di Cesanne e Bonnard, le fanciulle di Gaugain e Renoir. Figure con forme e colori diversi che ti trasmettevano lo stesso identico messaggio: la Vita è in questa luce esatta che attraversando e riempendo lo spazio della tela esalta un istante unico e irripetibile.
Alla fine dell’esposizione, uscito fuori, c’era il cielo grigio parigino ad attendermi e mi veniva voglia di tornare a ritrovare i colori di dentro come una in una specie di seduta cromo-terapeutica che magari, come per un contagio alchemico, mi avvicinasse all’ immortalità di quelle opere. Di fatto, restato fuori a bagnarmi sotto la pioggia, in quanto maldestramente non avevo portato ombrello, mi ponevo ataviche domande inzuppate ora anch’esse di pioggia .: Che senso ha dipingere per ore e giorni la Saint Victoire di Cezanne, sempre lo stesso soggetto poi, sapendo che proprio quell’istante è destinato a finire? Quanto colore sprecato, quanti sforzi dispendiosi? E per chi poi? Tempo inutile!.
Proprio in questi giorni sto leggendo il delizioso, intensissimo e definitivo libro della scrittrice Pia Pera: “Al giardino ancora non l’ho detto” Pia sa che la sua malattia la porterà alla morte e pensa e guarda al suo amato giardino che da anni cura e con cui ha intessuto un rapporto intimo e profondo. Di lui si prende cura e lui le insegna attraverso le sue periodiche trasformazioni, il rito del ciclico passaggio di vita e morte, che potare e innestare, sradicare e piantare fanno parte della stessa manutenzione. Ancora nuova domanda: che senso ha continuare a curare un giardino sapendo che non potrai più farlo appena tra qualche giorno?
E mi risuonava la voce grave e monotona di De André quando cantava “Solo passaggi e passaggi, passaggi di tempo “. Il titolo della canzone era “Anime Salve”
Fuori intanto aveva smesso di piovere…