Apr 6, 2023 - Senza categoria    No Comments

San Matteo e l’Angelo di Caravaggio

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Ogni volta che vado a Roma e mi trovo nei dintorni della Chiesa dei Francesi, tra il Pantheon e piazza Navona non posso fare a meno di andarlo a vedere, rivedere e mettere l’ennesima monetina perché si accenda la luce sul dipinto e dentro di me. C’è il corpo di Matteo. Tutto anchilosato. Posizione sghemba, contorta, intenibile. Solo a vederlo ti viene contemporaneamente ernia al disco, torcicollo e piede slogato; come minimo. E quello sgabello che esce dal quadro quasi un precipizio costante e lento delle cose, delle figure, dell’essere. E della vita . Anche la mia moneta non basta più e la luce si rispegne. Spero nella bontà di un turista perché non ne ho più in tasca. Per fortuna si riaccende la luce e vedo in alto l’angelo che racconta a Matteo. Deve essere un angelo italiano perché in giro nel mondo si dice che in Italia si parla con le mani. Mani anche più giù a metà dipinto. Questa volta sono quelle di Matteo che scrive il racconto, la storia. Riempie di forma le parole che sente, i gesti che guarda. Non è un’autobiografia. Non può essere. Matteo non c’è. Non è concentrato su di sé. È altrove. Ha gli occhi fissi al Messaggero. Ha lo sguardo tutto preso. È proprio in quel punto lì in alto il punto d’appoggio che solleva e tiene tutta la scena così precaria, le certezze traballanti, le vite liquide. L’accartocciarsi del corpo smorto , il collo strozzato, lo sgabello che non tiene, parafrasando Montale. La luce viene dall’alto e attraversa Matteo suo malgrado. Ciò che succede da quel momento in poi e solo conseguenza, pura obbedienza, puro attraversamento, scrittura compresa. Fa per sentito dire. Letteralmente. E intorno alla luce della scena il buio profondo. Tutto il resto del quadro è dipinto di nero. Di silenzio. “Stu silenziu e stu scuru che mi mbuca mpiettu”( Graziano Gala ) . Ogni grande bellezza come ogni grande vita è un buco bianco al centro di un buco nero per dirla con Rovelli. Luce che prima attraversa il buio e a volte succede che lo squarcia. Buona Pasqua di morte e risurrezione.

Mar 27, 2023 - Senza categoria    No Comments

Still Life. Il gesto inutile di John May

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Nel film del regista Uberto Pasolini si parla di John May  un quarantenne, impiegato comunale, che si occupa di quelle persone morte e di cui nessun parente reclama.

Sono vite interrotte. Sono vite senza. Sono morti soli. L’impiegato è l’unico, oltre il prete, che partecipa al corteo funebre assente, al rito senza popolo, alla cerimonia senza afflato, alla dipartita senza dolore.

Il signor May si interessa a questi uomini e donne finiti. Cerca un espediente, un segno, che lo possa condurre a un qualche parente per avvisarlo del decesso. Soprattutto per invitarlo al funerale,   permettere  di salutare il ” caro estinto” almeno un’ ultima volta.

Quasi sempre il suo tentativo risulta sterile, difficile, impossibile. Eppure non demorde. Lo fa per dovere. Lo fa perché è il suo lavoro. Lo fa perché ogni uomo ha diritto ad una sepoltura degna e accorata,  al racconto della sua propria storia, ad una memoria che continua. Lo fa da anni.

In un grande album personale raccoglie le foto di questi morti solitari. Un gesto il suo che di fatto, non serve a nessuno. Quando lo fa però,  la telecamera riprende una sequenza di movimenti precisi, delicati, quasi seguissero lo schema di  un rito. Si assiste ad una sorta di cerimoniale laico che di colpo diventa assoluto, unico, sacramentale direi. Si partecipa d’improvviso ad un solenne  omaggio alla vita nel momento estremo; quando proprio la vita  è ormai andata.

Come la portinaia  Renè nell’ Eleganza del ricco, o il maggiordomo Stevens in Quel che resta del giorno,  penserò spesso al funzionario comunale John May in Still  Life;  come lui a tutti quei uomini e donne anonimi, ed improbabili.   Vivono per  niente. Non cercano successo, non ambiscono a nessuno gloria, fanno il loro dovere di vivere. Obbedienze quotidiane. Piccole vite, sembrano da lontano.

Poi ti avvicini. Ti accosti un po’ o giusto il tempo che serve per indovinare, in quelle esistenze nascoste, delle vite poetiche. In quelle missioni consuete degli eroi sopra-potenti. In quei gesti ripetuti e solitari, dei destini senza tempo e di colpo, memorabili.

Feb 17, 2023 - Senza categoria    No Comments

La domada di Chazelle

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L’ultima scena del film Babylon di Chazell è un piano lungo sulle lacrime che scendono abbondanti e purificatrici sul viso di Manuel (Many) co protagonista del film, che nella sceneggiatura da attore diventa spettatore.
Babylon è un ennesimo omaggio alla 7ma arte che non è un’ arte minore; come si pensava ai suoi albori. E’ arte! E come ogni arte è sempre in divenire, cambia, si evolve, si diversifica al ritmo di nuove tecniche e al passo dei suoi autori, attori e registi. E come nella vita capire e accorgersi del nuovo che avanza sarà sempre una grande sfida da accettare convertendosi ogni volta oppure da fuggire; morendo di nostalgia.
Ma oltre gli effetti speciali di ultima generazione o il prodigio della nuova stella nascente, quello che importa e resterà è quell’emozione che apparirà e sparirà per un momento in milioni o forse un solo spettatore. Per quella lacrima di risata, di smorfia, di paura o di adrenalina, verrà sempre la pena proiettare immagini a colori e non, mute o sonore.
L’arte è suscitare emozione, è una vibrazione delle corde sensoriali, è naufragare nel mistero della vita, è appendersi ai punti interrogativi, è fare la pertica su quelli esclamativi.
E si fa arte sempre anche per un solo spettatore, per chi guarda, ascolta ed è toccato da quella cosa che ti prende e ti “im-porta” sempre; tuo malgrado. Sudorazione, pressione venosa, occhi traslucidi o spalancati, aumento dei battiti cardiaci, pieghe su viso e labbra. Per tutto questo e molto altro si vede un film e si può anche morire di film come uno dei protagonisti di Babylon.
Ed è esattamente qui tra morte e vita di personaggi e forme sonore, tra destini tragici, feste assolutamente folli ed assurde (un elefante invitato) come solo un film può permettersi senza essere denunciati, che compare la domanda di Chazelle impregnata tra le lacrime di Manuel: ne è valsa la pena?
Da semplice spettatore anch’io, senza pretese e senza gloria, esco dal cinema contento, emozionato e soprattutto grato di aver trascorso oltre due ore, seduto in una sala buia, viaggiando oltre la mia piccola vita.
Grazie Chazelle e a tutti i sacerdoti dell’arte della bellezza!

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